FRANZ JOSEPH Haydn (Rohrau, 1732 – Vienna, 1809)
TESTI DI VALERIO Magrelli
Introduzione - Maestoso e adagio
Sonata I - Pater, dimitte illis quia nesciunt quid faciunt - Largo Sonata II - Hodie mecum eris in Paradiso - Grave e cantabile Sonata III - Mulier, ecce filius tuus - Grave
Sonata IV - Deus meus, Deus meus, utquid dereliquisti me? - Largo
Sonata V - Sitio - Adagio
Sonata VI - Consummatum est - Lento
Sonata VII - In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum - Largo
Il terremoto - Presto e con tutta forza
Il concerto sarà preceduto da una lezione propedeutica ad ingresso libero in programma lunedì 26 marzo alle ore 18 presso la Sala Azzurra della Scuola Normale Superiore.
Nel 1786 Franz Joseph Haydn riceve da un canonico di Cadice, nella Spagna meridionale, la richiesta di comporre una musica da eseguirsi durante le cerimonie del Venerdì Santo. Nasce la Musica instrumentale sopra le 7 ultime parole del nostro Redentore in croce ovvero Sette Sonate con una introduzione ed alla fine un Terremoto Hob:XX:1 nella versione originale per orchestra. Haydn ha sempre considerato questa composizione come uno dei suoi lavori migliori, tanto da indurlo, per sopperire alle esigenze di amatori che non erano in grado di disporre dell’orchestra necessaria, a preparare nel 1787 una trascrizione per quartetto d’archi Hob:XX:2, e una riduzione per pianoforte Hob:XX:3 e infine, nel 1796, una versione per coro e orchestra Hob:XX:4 su testo di un canonico di Passau. La migliore presentazione di questo brano si deve allo stesso Haydn che, nell’inviare la partitura alla Breitkopf & Härtel per la pubblicazione, allegò la seguente prefazione: «Circa quindici anni fa mi fu chiesto da un canonico di Cadice di comporre della musica per Le ultime sette Parole del Nostro Salvatore sulla croce. Nella cattedrale di Cadice era tradizione produrre ogni anno un oratorio per la Quaresima, in cui la musica doveva tener conto delle seguenti circostanze. I muri, le finestre, i pilastri della chiesa erano ricoperti di drappi neri e solo una grande lampada che pendeva dal centro del soffitto rompeva quella solenne oscurità. A mezzogiorno le porte venivano chiuse e aveva inizio la cerimonia. Dopo una breve funzione il vescovo saliva sul pulpito e pronunciava la prima delle sette parole (o frasi) tenendo un discorso su di essa. Dopo di che scendeva dal pulpito e si prosternava davanti all’altare. Questo intervallo di tempo era riempito dalla musica. Allo stesso modo il vescovo pronunciava poi la seconda parola, poi la terza e così via, e la musica seguiva al termine ogni discorso. La musica da me composta dovette adattarsi a queste circostanze e non fu facile scrivere sette Adagi di dieci minuti l’uno senza annoiare gli ascoltatori: a dire il vero mi fu quasi impossibile rispettare i limiti stabiliti». La composizione, la cui prima esecuzione ebbe luogo presumibilmente il Venerdì Santo del 1786, si articola in sette sonate in tempo lento che meditano sulle ultime frasi pronunciate da Cristo sulla croce, precedute da una maestosa introduzione e concluse con un Presto che descrive il terremoto che sconvolse il Calvario come racconta il Vangelo di Matteo. Quando l’editore Artaria pubblicò il lavoro, Haydn fece inserire all’inizio di ogni sonata il testo delle sette parole sotto la parte del primo violino, per far concentrare gli esecutori sul contenuto di quanto suonano.
Moni Ovadia nasce a Plovdiv in Bulgaria nel 1946, da una famiglia ebraico-sefardita. Dopo gli studi universitari e una laurea in scienze politiche ha dato avvio alla sua carriera d’artista come ricercatore, cantante e interprete di musica etnica e popolare di vari paesi. Nel 1984 comincia il suo percorso di avvicinamento al teatro, prima in collaborazione con artisti della scena internazionale come Bolek Polivka, Tadeusz Kantor, Franco Parenti e poi via via proponendo se stesso come ideatore, regista, attore e capocomico di un teatro musicale assolutamente peculiare. Filo conduttore dei suoi spettacoli e della sua vastissima produzione discografica e libraria è la tradizione composita e sfaccettata, il vagabondaggio culturale e reale proprio del popolo ebraico, di cui egli si sente figlio e rappresentante, quell’immersione continua in lingue e suoni diversi ereditati da una cultura che le dittature e le ideologie totalitarie del Novecento avrebbero voluto cancellare e di cui si fa memoria per il futuro.
Il Quartetto d’archi di Torino è presente da più di venticinque anni nelle più importanti stagioni musicali. Nato e cresciuto grazie a Piero Farulli, Andrea Nan- noni, Milan Skampa e György Kurtág, il Quartetto ha ottenuto l’incarico di Quartet in Residence all’Istituto Universitario Europeo di Firenze (1990), il Diploma d’onore presso l’Accademia Musicale Chigiana di Siena e il secondo Premio al quarto Concorso Internazionale per Quartetto d’archi di Cremona (1994); inol- tre il secondo premio, il premio speciale per il Quartetto meglio classificato e il Premio del pubblico al Concorso Internazionale Vittorio Gui di Firenze (1995). Il Quartetto si esibisce nelle più importanti stagioni concertistiche e festival e le sue interpretazioni vengono regolarmente trasmesse in Italia e all’estero.
La notorietà presso il grande pubblico è arrivata grazie alla colonna sonora del film di Gabriele Salvatores Io non ho paura composta da Ezio Bosso (2002), spesso proposta in concerto in forma di suite. È tra i pochissimi quartetti al mondo a eseguire regolarmente lo String Quartet n. 2 di Morton Feldman, il quartetto più lungo della storia (circa sei ore) e opera culto della musica contemporanea.